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CARLA TAINO E LA DIFFICILE AFFASCINANTE VITA DELL’ATTRICE

Contributo a cura di Roberto Ferro

Una conoscenza con Carla Taino iniziata casualmente, una occasione significativa (la ricorrenza del 25 aprile) e un luogo (una piazza del quartiere Barona di Milano) particolari. Il copione: le commoventi testimonianze di uomini e donne, partigiani.

E’ nata allora la curiosità di intervistare l’attrice che con voce limpida e commossa, spezzava per un attimo l’assedio del traffico e dell’indifferenza metropolitana.

Quando ti sei avvicinata al Palcoscenico?

L’avvicinamento al teatro è avvenuto, praticamente, per gioco, o meglio grazie al gioco. Ai tempi dell’università un paio di amiche, ed io di tanto in tanto, trascorrevamo le domeniche a Milano, al Parco Sempione, che diventava teatro delle nostre “performance” spontanee. Io e una di loro improvvisavamo dialoghi comici inventandoci di volta in volta personaggi diversi, mentre la terza faceva da pubblico.

Le mie amiche mi dicevano “che ero portata per il teatro”, ma a me il teatro sembrava la cosa più lontana dal mondo: da ragazza ci ero andata solo con la scuola. Mi sembrava quasi un luogo sacro. Mi ricordo che rimanevo incantata dall’odore del teatro e dal rumore dei passi degli attori sul palco. Poi, un giorno, mentre con le mie amiche nel parco assistevamo ad uno spettacolo di strada, gli attori mi hanno scelta come “vittima”, ingaggiandomi in una performance. E lì c’é stato il primo incontro con il pubblico: l’emozione, l’energia e poi l’applauso. E allora mi sono detta…”ma, sì, proviamo”.

Vita di attrice (attore) di provincia…

La vita dell’attrice di provincia ti costringe a reinventare giorno dopo giorno la tua professionalità. Se vuoi fare teatro, qui nelle terre nebbiose tra l’Adda e il Brembo, non puoi permetterti il lusso di essere “solamente” artista. Devi anche occuparti di fondare la tua “piccola” associazione e portarla avanti giorno dopo giorno, devi diventare PM, devi occuparti della parte commerciale e dei rapporti con le amministrazioni comunali e le altre associazioni del territorio. Non da sola, se hai la fortuna di incontrare altri che “stanno sulla tua stessa barca”.

E poi, quando finalmente vai in scena come attrice, proponi un lavoro che molto spesso hai curato anche dal punto di vista drammaturgico e / o registico.

Però le soddisfazioni arrivano, comunque, e ti danno la forza per non mollare tutto, anche se spesso la tentazione é forte.

Il tuo é dunque un teatro “globale”, non tradizionale?

Il primo corso che ho frequentato era di Teatro di Ricerca. Un genere “essenziale” fondato sulla centralità del corpo dell’attore. E’ stata un’esperienza sicuramente molto formativa e arricchente che mi ha stimolato a approfondire la ricerca verso una forma espressiva “a tutto tondo”. Poi, ben presto, ho sentito l’esigenza di indagare il potere della “parola”, della voce, l’utilizzo del teatro per “raccontare”, e così ho iniziato a formarmi nell’ambito del Teatro di Narrazione. Più assistevo a spettacoli di attori quali Marco Batliani, Laura Curino, Marco Paolini, Ascanio Celestini, spettacoli che hanno il potere di rapirti e di emozionarti, di farti ridere piangere e riflettere allo stesso tempo, e più sentivo quel genere teatrale come “mio”. E così ho intrapreso questa strada. Ho iniziato a frequentare seminari e a costruirmi un repertorio di storie da raccontare. Per grandi e per bambini.

Dato che il tuo pubblico é composto da adulti e bambini si rendono necessarie forme espressive e interpretative differenti?

Recitare davanti a un pubblico di bambini richiede la messa in atto di tecniche sicuramente differenti rispetto a quelle adottate per un pubblico adulto. Tuttavia penso che per recitare davanti a grandi e piccini sia necessario possedere un requisito fondamentale, ovvero la “credibilità””. Credibilità vuol dire “essere presente nel qui ed ora”, stare sul palco con energia e autenticità: col corpo, la testa e il cuore. Se ti appassioni per quello che metti in scena, la passione arriva anche al pubblico. Viceversa, se sei lì solo per guadagnarti la giornata, se non credi in quello che fai, in qualche modo il circolo virtuoso dell’energia tra attore e pubblico si blocca e allora lo spettacolo non funziona.

La tua arte si colora nettamente di impegno sociale e politico. Quale percorso ti ha condotta a esprimere l’arte in politica (nel senso nobile del termine)?

Nella mia vita la politica é venuta prima dell’arte. Ero studente negli anni ’90, quando ancora la sinistra extraparlamentare sembrava un punto di riferimento credibile per i movimenti. Ho frequentato i Centri Sociali, ero a Genova durante il G8.

Assieme alla passione politica coltivavo la passione per la storia: dopo che avevo mollato l’università tornavo dal lavoro e passavo interi pomeriggi a studiare storia. Soprattutto il Nazifascismo e il sistema concentrazionario. Leggevo saggi ma anche testimonianze, autobiografie, romanzi.

E più leggevo e più sentivo l’esigenza di raccontare quello che avevo appreso. E così quando poi nella mia vita é entrato il teatro, l’incontro é stato naturale. Il teatro é diventato la forma espressiva per dare corpo e voce alla mia esigenza di raccontare ciò che é stato.

L’espressione del corpo, l’attenzione per le emozioni.. Come ti descriveresti?

C’é stata tutta una fase della mia vita artistica in cui un attimo prima della rappresentazione avrei voluto essere ovunque tranne che sul palco. Ci sono voluti anni prima di riuscire a gestire l’ansia da palcoscenico. Un’ansia così forte che mi pervadeva fino all’attimo stesso in cui entravo in scena. Mi si bloccava lo stomaco, il cuore batteva forte. Poi arrivava l’adrenalina che mi sosteneva e mi faceva vivere emozioni indimenticabili.

Adesso va un po’ meglio e riesco a bere persino un caffé!

Sei musicista? E di quale genere musicale?

Non sono musicista. A 40 anni ho deciso che era arrivato il momento di fare entrare la musica nella mia vita. A Bergamo esiste una tradizione folk molto forte, così mi sono incanalata su quella scia iniziando a studiare l’organetto diatonico e cimentandomi nel canto popolare. Spero in un domani di riuscire ad integrare pienamente queste esperienze nei miei spettacoli. Per il momento però mi godo la musica come un bel divertimento, un qualcosa di appassionante ed arricchente.

Quali progetti per il futuro?

Il progetto é minimale: resistere, resistere, resistere!

Questa crisi sta mettendo a dura prova le piccole compagnie come la mia. La mia associazione, Colpo d’Elfo, per anni ha lavorato principalmente con gli enti pubblici, i quali ora stanno alla canna del gas. E anche i privati non navigano nell’oro. Ci si mette tanto impegno a produrre uno spettacolo (che si é costretti a vendere sottocosto) e poi si rischia di “portare a casa” solo poche date.

Vivere di solo teatro ormai per me é un’utopia. Per cui si é reso necessario integrare il lavoro dell’attrice con un lavoro part time che mi garantisca un minimo di solidità. Ciò mi porta ad avere la testa sempre vigile per “tenere insieme i pezzi” della mia vita professionale (e non solo) con tutta la fatica che questo comporta.